NOVEMBRE 2022
SAGAL – ISLAM – IDRIS
SOMALIA
“SIAMO AFROITALIANI”
Quanti anni avete? Da dove venite quali sono le vostre origini?
Sagal: Mi chiamo Sagal, ho 20 anni, sono nata in Italia, qui a Milano, i miei genitori sono di origine somala.
Islam: Mi chiamo Islam, ho 18 anni, sono nata a Milano e anche i miei genitori sono di origine somala.
Idris: Mi chiamo IDRIS, ho 17 anni, sono nato qua in Italia a Milano, sono il fratello di Islam.
Da quanto tempo i vostri genitori sono in Italia, perché sono immigrati e perché la scelta dell’Italia?
Sagal: I miei sono in Italia dagli anni novanta, circa. Mio padre è immigrato perché aveva una borsa di studio. Dopo poco che era arrivato, è scoppiata la guerra civile per cui è rimasto in Italia. Anche mia madre, allo scoppio della guerra civile è venuta in Italia. Ha scelto l’Italia perché aveva qui dei parenti.
Islam: Nostra madre è venuta qui negli anni novanta per una scelta casuale. È scappata dalla Somalia allo scoppio della guerra ed è andata in Kenia dove ha trovato un biglietto d’aereo per l’Italia ed è partita. Nostro padre è venuto in seguito perché conosceva nostra madre ed aveva un conoscente qua.
In Italia avete fatto tutto il percorso scolastico? Ed ora cosa state facendo?
Sagal: Io ho terminato le superiori circa due anni fa ed ora sono all’università dove sto studiando medicina.
Islam: Io sto frequentando l’ultimo anno di liceo scientifico
Idris: Anch’io ho fatto tutto il percorso scolastico ed ora sto frequentando la quarta liceo scientifico scienza applicata.
In Italia vi sentite accolte/i?
Sagal: Ho notato che c’è qualche problema con le persone adulte. In seconda liceo gli insegnanti mi chiedevano se so parlare italiano, oppure quando vado in posta, quando devo parlare con una persona adulta o quando cammino in città, capita che mi parlino in inglese pensando che io sia straniera.
Islam: Per quanto riguarda i miei compagni di classe non vengo trattata in modo diverso fortunatamente, ma si percepisce un’aria non sempre serena; si sa che in liceo si sviluppano ideologie politiche e succede che chi ha ideologie diverse o non ha ideologie, si sente autorizzato a dire cose da persone insensibili o ignoranti.
Idris: Io penso che ovviamente le persone si comportino in base agli ambienti e alle generazioni in cui sono cresciute. Gli adulti sono cresciuti in un ambiente più chiuso e quindi sono meno avvezzi al cambiamento, alla diversità che io posso avere rispetto ai loro figli, italiani, bianchi. I ragazzini invece, cresciuti in una generazione molto più cosmopolita e grazie anche ai social-media che ti collegano con tutto il mondo, sono abituati a vedere e a vivere con persone di colore o di cultura diversa dalla nostra, per cui i miei compagni di classe mi considerano una persona pari a loro senza differenze. Quindi questo problema lo vedo più negli adulti.
Qual è il momento più brutto e il momento più bello, più gratificante che avete vissuto qua in Italia?
Idris: I momenti più brutti e più difficili sono principalmente due. La mia scuola è lontana ed io per andare a scuola devo prendere il treno. Trovo persone che mi guardano male e non si siedono vicino a me come se facessi schifo. Una persona addirittura mi ha sputato addosso ed è scesa dal treno. Io sono rimasto lì, a guardarla allibito.
Un’altra volta nel mio quartiere stavo tornando dall’ottico ed ho sentito qualcuno che ha gridato: “Oh, uno zingaro!” Non sapevo se stesse parlando di me, comunque mi sono detto: “Purtroppo esistono ancora persone così!” ed ho continuato per la mia strada. Ho sentito dei passi che mi seguivano e quando questa persona è stata vicina, ha gridato: “Negro, fermati!”. Sì, stava parlando di me. Avevo due scelte: girarmi e vedere chi mi stava parlando o scappare senza girarmi. Ho scelto quest’ultima che ho ritenuto la più onorevole. Sono tornato a casa correndo. Io la prendo un po’ sul ridere, ma penso che siano cose ingiuste e che non dovrebbero accadere. In sedici anni è successo una volta sola e spero non succeda più.
La cosa più bella è quando mi sento trattato come tutto gli altri, da ragazzo italiano seppure di colore. Sono cose normali, ma che mi rendono felice.
Islam: Un momento triste quando in classe i professori usano la parola “negro”, non in modo ironico. È successo più di una volta, eppure mi vedono, che sono lì, in prima fila. Io credo che un educatore, che deve insegnare e formare le nuove generazioni, debba sapere che certe parole, hanno anche un valore storico e un’accezione negativa. Mi chiedo come in un liceo ci siano insegnanti che non sappiano che usare stereotipi negativi, sia inaccettabile.
Un momento bello è quando, passeggiando in piazza Duomo, trovo dei ragazzi africani che vendono braccialettini e che me lo mettono al polso senza farmelo pagare. È un piccolo gesto di solidarietà che mi fa piacere.
Sagal: Un momento brutto anche a me è successo a scuola. Eravamo in quarta o in quinta e, con un insegnante, stavamo organizzando un viaggio in Svezia. Ogni tanto arrivavano circolari, facevamo lunghe riunioni, esaminavamo documenti ecc. L’insegnante, che si diceva avesse viaggiato parecchio, ha preso da parte me e una mia compagna italiana ma di origine marocchina e ci ha detto che avremmo dovuto chiamare il nostro consolato per sapere come muoverci per andare in Svezia. Noi le abbiamo risposto che eravamo italiane e non avevamo bisogno di nessun visto speciale. Tra l’altro per gli europei per andare in Svezia non occorre nessun documento particolare essendo nell’area di Schengen.
Lei però si è impuntata e insisteva dicendo che avrebbero indagato sulle nostre origini, che in quel Paese non volevano immigrati, e che ci sarebbero state delle difficoltà, ecc. Noi continuavamo a dire che il nostro consolato era il consolato italiano e che non avremmo dovuto andare in nessun altro consolato. Lei si è arrabbiata e ci ha ribattuto che lei ci aveva avvisato e che se ci avessero fermato in aeroporto, sarebbe stata responsabilità nostra. Noi sapevamo che non sarebbe successo niente di tutto questo.
Mi sono comunque meravigliata che una persona che aveva viaggiato e che diceva di conoscere molte cose in questo campo, fosse così insistente dimostrando di ignorare questa realtà: che noi avevamo la cittadinanza italiana.
Invece un’esperienza positiva l’ho fatta proprio durante questo viaggio. Ho notato che in Svezia c’erano molti ragazzi di colore i quali, a differenza di noi, erano trattati in modo equo. Infatti sono stata ospitata da una famiglia e ho visto che per loro era normale avere a che fare con ragazzi di diversa provenienza.
Con i nostri prof invece la cosa veniva sottolineata, bisognava parlarne… come fosse una cosa eccezionale.
Da quando avete la cittadinanza italiana? E per voi è importante avere la cittadinanza italiana? Sieti contenti/e di essere italiani/e?
Sagal: Io ho avuto la cittadinanza quando avevo nove o dieci anni. L’ho presa quando l’ha avuta mia madre, che ha fatto tutte le pratiche necessarie. Sono contenta di essere italiana. E mi dichiaro fortunata che i miei hanno preso la cittadinanza permettendomi di averla da piccola, altrimenti avrei dovuto aspettare fino ai 18 anni. Non ricordo com’era quando non avevo la cittadinanza perché ero troppo piccola.
Idris: Quando mia sorella ed io siamo nati, nostra madre aveva già la cittadinanza, quindi automaticamente anche noi abbiamo avuto la cittadinanza dalla nascita. Quindi per noi non è mai stato un problema. Io personalmente sono felice di avere la cittadinanza perché, anche se è un pezzo di carta, ti fa sentire un po’ più italiano ed è una soddisfazione, quando mi chiedono i documenti, poter dire: “No, sono italiano!”
Islam: Come ha detto mio fratello, ho la cittadinanza dalla nascita. Certo questo mi facilita la vita e quando vado in giro ho la soddisfazione di tirar fuori la carta d’identità o il passaporto italiano. Una volta una persona, dopo averle mostrato i documenti italiani, mi ha chiesto di mostrarle il permesso di soggiorno.
Quindi la cittadinanza è un pezzo di carta, a me non fa sentire più italiana, ma indubbiamente mi facilita la vita.
Conoscete il Paese delle vostre origini? Ci andate? L’avete visitato? Che cosa vi piace e cosa non vi piace del vostro paese d’origine?
Sagal: Fino a 13 anni non ci sono voluta andare perché c’era ancora la guerra civile e non era sicura. A tredici anni ci sono andata insieme ai miei genitori. Anche per mio padre era la prima volta che tornava, mentre mia madre c’era già stata. Per me è stato un po’ uno choc: ne avevo sentito parlare solo attraverso i ricordi dei miei genitori, ma il Paese era diverso anche da quello che avevo sentito dai miei genitori. Loro mi dicevano quanto era bella la loro città, Mogadiscio, mentre quando sono arrivata io c’era solo lo scheletro e tante rovine. Sì ho visto come era bella, ma non era più la città che avevano visto i miei genitori.
Ma anche la Somalia che ho conosciuto io non è la Somalia di adesso: è come se fossero due paesi diversi. Adesso che la guerra è finita, la Somalia è in costruzione e ci vorrà ancora tempo. Bisognerebbe ritornarci e stare lì per un po’.
Idris: Noi come famiglia ritorniamo in Somalia circa ogni due anni. Abbiamo iniziato dopo che la guerra era finita, quindi dopo il 2012. Ci ritorniamo come turisti e per visitare i parenti. La prima volta che siamo andati io avevo dieci anni.
Siamo andati nella parte nord, nel Somaliland, che è la parte un po’ più pacifica.
Secondo me è un bellissimo paese, con paesaggi meravigliosi… Ha tanto potenziale turistico, ma ha una mentalità troppo chiusa per poter riuscire a sfondare nel mondo del turismo. Poi ho avuto anche la possibilità di andare per cinque giorni con mia madre a Mogadiscio, la capitale, che si trova a sud e lì ho trovato un mondo completamente diverso: ho trovato persone dalla mentalità molto più aperta che al nord, ma anche persone con una mentalità molto chiusa.
Ho visto paesaggi bellissimi, ma una città distrutta dalla guerra ormai terminata.
A mio parere la Somalia è un bellissimo paese con un grande potenziale, ma che le persone del posto non stanno sfruttando al massimo.
Islam: Sono andata in Somalia con la mia famiglia per la prima volta quando avevo 11 anni. È stato uno choc culturale: ero abituata ad un modello di vita in Italia e lì ho trovato un altro modo di vivere di parlare, di condurre le attività quotidiane. Io penso che la Somalia sia bellissima. Mi piace quando vado dai miei parenti e parlano in somalo e io capisco. Mi piace il cibo e mi piace condividere momenti che non posso condividere con la mia famiglia quando sono in Italia.
La cosa più bella è quando andiamo a trovare mia nonna. Vive in un villaggio di capanne e per arrivarci dobbiamo fare un viaggio di molte ore e quindi abbiamo la possibilità di vedere animali selvatici e paesaggi che passano da montagne con foreste a luoghi aridi, a luoghi verdi: un insieme di paesaggi che una persona non si aspetterebbe di vedere in Africa. Sì, mi piace la Somalia e voglio bene a questo paese. Certo ci sono cose diverse a cui non sono abituata, ma ho di lei un ricordo bellissimo.
Che cosa vi piace dell’Italia che non trovate in Somalia e il contrario?
Sagal: Una cosa che mi piace della Somalia è che ci sono interi quartieri in cui le persone hanno sempre la porta aperta, come se fossero piccole comunità dove tutti si conoscono. Chi cucina, chi porta cose di qua e di là, i bambini di diverse famiglie che giocano insieme, tutti sono amici… Tutto questo qui non c’è: io torno a casa, mi chiudo nel mio appartamento, saluto le persone del palazzo… Sì ho i miei amici… Lì invece ci sono interi quartieri dove la gente si conosce, si saluta, si aiuta. Come se fosse una grande comunità aperta. Ci sono però problemi irrisolti dopo la guerra: ci sono poche scuole pubbliche e molte scuole private, ma spesso non ci sono insegnanti affidabili in quanto a volte hanno più interesse ai soldi che all’insegnamento. Questo è uno dei problemi che la Somalia deve risolvere.
Islam: La cosa che mi piace di più della Somalia è il modo di mangiare perché non è un modo “classico”. Qui in Italia c’è la pasta e si mangia al tavolo, non sempre con tutta la famiglia e soprattutto in modo veloce, specialmente durante la settimana. Poi magari al pranzo della domenica le cose possono cambiare un po’…
In Somalia, ogni volta che le famiglie si riuniscono, c’è sempre una valanga di cibo.
C’è una certa comunanza con la tradizione italiana. Ma in Somalia mi piace mangiare seduti per terra dallo stesso vassoio. Mi piace la compagnia, sentire la gente parlare con la parlata somala che è bellissima, ha un bel suono e mi fa morire dal ridere. Mi piace condividere questo momento.
Come diceva Sagal, le porte sono sempre aperte, si può entrare in casa del vicino, sedersi e chiacchierare con lui, ti offrono il pranzo per mangiare con loro.
Una cosa che mi ha colpito in modo positivo è che quando andiamo a fare un lungo viaggio con un autista (lì bisogna conoscere molto bene le strade e non è facile), l’autista diventa un amico: si chiacchiera come se ci si conoscesse da sempre, si mangia insieme, gli si offre l’hotel…
Ricordo l’ultimo autista che ci ha portato in giro: era simpaticissimo, ha dormito con noi… Era parte della famiglia.
Idris: La cosa che mi piace in Somalia e che purtroppo non c’è in Italia è che ovunque tu sia, sei parte della famiglia somala, nel senso che se incontro una persona qualsiasi, se gli chiedo qualcosa lui lo fa per me e se lui mi chiede qualcosa io sono pronto a farla per lui. E ci sentiamo una famiglia con chiunque possiamo incontrare per strada. Invece in Italia hai la tua famiglia che è il tuo supporto, ma quando esci di casa, sei da solo contro il modo. Vivendo a Milano, io sento molto questo: esci e non ti puoi fidare di nessuno, non c’è nessuno pronto ad aiutarti, sono tutti di fretta perché a Milano devono tutti andare a fare qualcosa.
Quello che c’è in Italia e non c’è in Somalia, anche a causa della guerra, è il bagaglio culturale. L’Italia ha un gigantesco patrimonio di opere d’arte: pitture, sculture… ed è bellissimo poterle vedere e riscoprire il passato. In Somalia quello che c’è stato e che si è salvato intatto dalla guerra è molto poco e si può vedere quello che c’è adesso, per cui la visione della Somalia è sempre quella attuale, del periodo che tu vivi e non quella del passato.